Nei giorni scorsi la magistratura militare egiziana ha assolto un medico militare accusato di aver costretto un gruppo di manifestanti donne a sottoporsi a "test di verginità". Il processo era nato dalla denuncia di Samira Ibrahim, 25 anni, una delle manifestanti che subì il "test di verginità" nel marzo 2011. Hassina Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International ha asserito che "ancora una volta, i militari egiziani hanno voltato le spalle alle donne che, come Samira Ibrahim, hanno mostrato un enorme coraggio sfidando le istituzioni militari del paese”. Nel resto del mondo, migliaia di associazioni femministe laiche hanno condannato l’assoluzione bollandola come sentenza maschilista. Ma come, metà pianeta aveva plaudito alle cosiddette primavere islamiche, e adesso che l’Egitto, il primo dei paesi “liberati” ha emesso una sentenza che la maggioranza della popolazione maschile musulmana condivide, si grida allo scandalo? La vergogna, non concerne l’assoluzione di un medico che ha soltanto verificato le virtù morali delle insubordinate, ma l’assenza di rispetto manifestato dalle donne occidentali verso una cultura che considera le femmine soggetti da sottomettere. Se è vero che come dicono i pontieri delle culture e i promotori del dialogo interreligioso, il melting pot delle genti arricchisce reciprocamente, perché non imparare dai maschi adoratori della mezza luna come si addomesticano le femmine affette da pruriti libertini occidentali? Dopotutto, non si dice forse che nessuna civiltà è superiore ad un’altra?
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