Qualcuno avrà pensato che Benedetto XVI non sia andato a La Sapienza perché battuto da un drappello di mangiapreti o perché deluso dall’ignavia di un governo che non ha saputo garantire libertà di espressione di un Capo di Stato estero, nonché Vescovo di Roma e guida spirituale di un miliardo di fedeli. Sbagliato! In realtà il motivo è di ordine teologico. Al papa è bastato dare una sbirciatina al vangelo per rendersi conto che non poteva permettersi il lusso di distribuire perle di saggezza ad una platea che non le avrebbe apprezzate. Dice infatti l’evangelista Matteo "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi." (7,6), e ancora “In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città”. (10, 11-15). Ratzinger non aveva bisogno di entrare in quella città e in quella casa, i grugniti, seppur da lontano, avevano già rivelato la loro natura.
Gianni Toffali
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