Un (forse) maldestro poliziotto uccide (forse) un tifoso laziale e un’orda di ultrà impazziti scatena il terrore. Le teste calde, sono sempre pronte alla guerriglia, aspettano solo un scusa. E qui l’hanno trovata. Chi ha la sfrontatezza di mettere a ferro e fuoco stadi e città, del calcio non interessa nulla. O meglio, il calcio rappresenta il mezzo più idoneo (non richiede doti intellettuali superiori) per dar sfogo alla natura fragile e malata che alligna in loro. Il fenomeno della violenza che ruota attorno al calcio, non si può dunque mitigare inasprendo pene e sanzioni. La questione è altra. E’ atavica. L'uomo, dicono le scienze umane, è un animale sociale che se non gratificato, necessita di tanto in tanto di scaricare frustrazioni, istinti, desideri, tensioni e sensi di impotenza. Bisogni primordiali che se non soddisfatti generano rabbia incontrollata. Consce che l’uomo è mezzo umano e mezzo bestia (lo ha detto Darwin e si insegna nelle scuole) le società antiche e moderne si sono attrezzate inventandosi degli espedienti, degli "ammortizzatori sociali" in grado di canalizzare e contenere, bisogni insoddisfatti, frustrazioni e angosce collettive. Ecco cosi spiegata in chiave psico - antropologica la "tolleranza" dello stato verso la prostituzione, la droga, l’alcol e i giochi d'azzardo. Escamotage non propriamente di alta moralità, ma con buona pace per tutti, efficaci per calmierare il lato oscuro dell'uomo animale. Anche il calcio, lo si voglia ammettere o meno, assolve questa importante funzione sociale. Nel passato avevamo le Arene e i Colossei, oggi abbiamo gli stadi. Nulla di nuovo sotto il sole! Venendo alla domanda che tutti si pongono, vale a dire: quale risposta dare alle fregole manesche dei tapini repressi? Semplice, basterebbe rinchiudere le opposte tifoserie dentro stadi blindati, ed aspettare la fine della "partita". Che un pallone sia presente o meno, per i discendenti dell'homo (poco) sapiens, è un dettaglio irrilevante.
Gianni Toffali
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